I MONTI DELLA LAGA
I MONTI DELLA LAGA
La catena dei Monti della Laga si estende tra la porzione nordoccidentale dell’Abruzzo, il Lazio e le Marche seguendo per circa trenta chilometri un andamento approssimativamente diretto da nord ovest a sud est, tra il fiume Tronto ed il fiume Vomano. La dorsale presenta diverse pieghe e diramazioni laterali ed è sormontata da varie cime che superano i 2000 metri di quota, come Monte Gorzano (2458 m), che rappresenta il rilievo più elevato della catena e del Lazio, Giaccio Porcelli o Cima Lepri (2445 m), Pizzo di Sevo (2419 m), Pizzo di Moscio (2411 m), Cima della Laghetta (2369 m), Monte Pelone meridionale (2259 m), Monte Pizzitello (2222 m), Monte di Mezzo (2155 m) e Monte Pelone settentrionale (2057 m). La catena della Laga si contraddistingue per una propria spiccata individualità geologica, morfologica, idrogeologica, floristica, vegetazionale ed ecologica, che la distingue fortemente dalle vicine catene del Gran Sasso d’Italia e dei Monti Sibillini e dai rilievi della dorsale che dalla Montagna dei Fiori, attraverso la Montagna di Campli, il Monte delle Tre Croci ed il Montagnone – Cima Alta si raccorda con il Gran Sasso. Mentre questi ultimi rilievi presentano una natura prevalentemente carbonatica (calcarea, dolomitica e calcareo-marnosa), i Monti della Laga sono costituiti generalmente da rocce di natura silicoclastica, come arenarie, marne, siltiti e argille, che si alternano in successioni sedimentarie di tipo flyschoide. Questa difformità litologica rispetto ai gruppi montuosi limitrofi si traduce in sostanziali differenze anche a livello idrogeologico, causate dalla frequente presenza nelle successioni sedimentarie della Laga di livelli di rocce a bassa permeabilità. La diffusione di questi acquicludi a varie profondità determina l’esistenza di un ricco reticolo idrografico superficiale, che spesso tuttavia si accompagna a vistosi fenomeni erosivi e franosi, la cui incidenza è stata accentuata dalla distruzione della originaria copertura boschiva che ammantava questi rilievi. La ricchezza del deflusso di acque superficiali, che caratterizza tutti i versanti dei Monti della Laga e la presenza di suoli tendenzialmente acidi, derivati dai substrati arenacei, permise nell’ultimo periodo postglaciale lo sviluppo di una imponente copertura boschiva, dominata dall’abete bianco (Abies alba), dal faggio (Fagus sylvatica) e dal cerro (Quercus cerris), con presenze significative anche di acero di monte (Acer pseudoplatanus), rovere (Quercus petrea), frassino maggiore (Fraxinus excelsior), olmo montano (Ulmus glabra), roverella (Quercus pubescens), carpino nero (Ostrya capinifolia), carpino bianco (Carpinus betulus), carpino orientale (Carpinus orientalis), orniello (Fraxinus ornus), pioppo tremulo (Populus tremula) betulla (Betula pendula), tasso (Taxus baccata), agrifoglio (Ilex aquifolium) e molto probabilmente anche castagno (Castanea sativa) ed abete rosso (Picea abies), insieme ad un ricco corteggio di molte altre specie arboree edarbustive. Le quote più alte, al di sopra del limite della vegetazione arborea erano coperte da formazioni di arbusti contorti, forse con la presenza del pino mugo (Pinus mugo), da brughiere dominate dal mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) e da varie specie arbustive appartenenti al genere Salix, che colonizzavano gli impluvi più umidi. Al di sopra di queste formazioni vegetali rimanevano spazi abbastanza limitati per le praterie di altitudine. In seguito l’azione dell’uomo ha condotto nei secoli ad un drastico depauperamento della vegetazione boschiva, con la distruzione della maggior parte delle abetine ad abete bianco, la scomparsa dell’abete rosso, la diffusione artificiale e localizzata del castagno, le diffuse ceduazioni e soprattutto l’abbassamento artificiale del limite superiore del bosco e la distruzione pressoché totale della fascia di vegetazione ad arbusti contorti, che furono funzionali all’ampliamento ai pascoli sommitali ed alla diffusione delle coltivazioni anche in quota L’attuale fisionomia del paesaggio dei Monti della Laga è il risultato quindi di un lunghissimo periodo di antropizzazione durante il quale la vegetazione e la fauna originarie hanno subito profonde modificazioni determinate soprattutto dalla imponente diffusione conosciuta dalla pastorizia nei secoli scorsi, dal continuo sfruttamento dei boschi per ricavarne legname e dalla diffusione piuttosto capillare di un’agricoltura di sussistenza, che tuttavia negli ultimi decenni ha subito un fortissimo regresso.
L’ORIGINE DEL NOME
Il nome Monti della Laga compare ufficialmente per la prima volta nel 1808, nell’Atlante Geografico del Regno di Napoli di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, inciso da Giuseppe Guerra. In quest’opera tale denominazione è attribuita alla sola zona dell’attuale Cima della Laghetta, non lontana dal paese di Campotosto. Solo successivamente con il nome Monti della Laga si è indicata l’intera catena montuosa, così come la conosciamo oggi. Tale denominazione, con molta probabilità, trae origine, tramite il dialetto locale, dalla presenza di vaste zone temporaneamente allagate ed acquitrinose nella conca di Campotosto. Quest’area nel Pleistocene fu, infatti, sede di un grande lago di origine tettonica e forse in parte glaciale, che occupava una depressione tettonica creatasi a causa dell’azione di faglie distensive originatesi con il procedere verso oriente dei movimenti orogenetici che stavano portando al sollevamento di questo settore dell’Appennino. Questo vasto lago aveva un’estensione superiore rispetto al bacino artificiale realizzato nella stessa area a scopo idroelettrico tra il 1939 ed il 1940. In epoca preistorica la presenza nell’area di substrati arenacei facilmente erodibili portò tuttavia al progressivo accumulo di sedimenti nell’antico lago, che gradualmente andò interrandosi divenendo una palude torbosa, fino a che l’incisione dell’alveo dell’emissario, il Rio Fucino, ne determinò il prosciugamento quasi totale. L’area rimase comunque a lungo acquitrinosa ed in essa si sviluppò una torbiera, probabilmente la più estesa della catena appenninica, che ospitava rare specie vegetali. La zona, inadatta all’agricoltura, venne sfruttata per secoli come area di pascolo e di caccia, fino a che, tra il 1877 ed il 1888, iniziò l’estrazione della torba, utilizzata come combustibile, che veniva trasportata verso L’Aquila tramite una linea ferroviaria, realizzata nel 1922, che arrivava sino ai 916 m di quota del paese di Capitignano. Una differente teoria vuole che il nome Laga derivi dal termine tedesco lage, con il significato di ‘passaggio, apertura’, ma questa etimologia appare meno convincente per la presenza lungo la catena appenninica di altri toponimi somiglianti al termine Laga, aventi il valore di ‘area acquitrinosa’, quali, ad esempio, ”Passo del Lagastrello”, nella provincia di Massa-Carrara, il cui nome deriva dalla presenza di zone paludose.
CENNI SULL’ORIGINE DEI MONTI DELLA LAGA
I Monti della Laga devono la loro peculiarità litologica agli eventi tettonici che hanno condotto alla loro formazione. I sedimenti silicoclastici stratificati che costituiscono il cosiddetto Flysch della Laga si sono depositati infatti in un bacino marino di avanfossa, cioè in una fossa profonda creatasi durante il Miocene davanti al fronte della catena appenninica che si stava sollevando, migrando vesto est. Questa avanfossa raccoglieva flussi di sedimenti terrigeni derivanti dall’erosione dei rilievi vicini in via di sollevamento e di lontane montagne di natura cristallina. I flussi di sedimenti ed acqua scivolavano per gravita sui fondali come correnti torbide, innescate da eventi meteorologici e sismici, creando caratteristici depositi stratificati, dall’aspetto di conoidi sottomarine, definiti torbiditi. Questi depositi si contraddistinguono per la presenza di strati costituiti da differenti frazioni granulometriche, separatesi per effetto della gravità, che si ripetono secondo una sequenza che va dalle sabbie grossolane alle sabbie sottili, per arrivare poi ai fanghi o peliti. Queste successioni cicliche di strati di sedimenti silicoclastici di dimensioni diverse hanno dato origine alla caratteristica alternanza di livelli sedimentari che contraddistingue il cosiddetto Flysch della Laga. Buona parte della deposizione di questi strati coincide con la fase conclusiva del Miocene, definita Messiniano, all’incirca tra 7,24 ed 5,33 milioni di anni fa. In questo periodo, tra 5.59 e 5.33 milioni di anni fa, si verificò il parziale prosciugamento del Mar Mediterraneo, definito crisi di salinità messiniana del Mediterraneo, che lasciò dei depositi caratteristici, ricchi di gesso, definiti evaporiti. Nella successione litologica che caratterizza i Monti della Laga, nota come Formazione geologica della Laga, che copre un’area molto più estesa della catena montuosa in senso stretto, coinvolgendo, ad esempio, anche il territorio di Teramo, si possono riconoscere quindi tre fasi temporali principali, delimitate dal verificarsi della crisi di salinità. La prima fase, definita Membro preevaporitico, corrisponde al periodo iniziale della deposizione, la seconda detta Membro evaporitico, rappresenta la fase che coincide con la crisi di salinità e si distingue per la presenza di gessi, la terza, nota come Membro post evaporitico, comprende i livelli successivi alla crisi di salinità, risalenti ad un periodo che va dal Miocene superiore all’inizio del Pliocene. Nell’area della catena della Laga è rappresentato essenzialmente il Membro preevaporitico della successione, caratterizzato in genere da una prevalenza di massicci strati di arenarie più resistenti all’erosione, alternati a livelli arenaceo-pelitici più sottili e suscettibili nei confronti dei processi erosivi. Alla base della sequenza , al di sotto del Flysch della Laga, sono presenti le unità stratigrafiche che emergono nelle zone vicine, come i Monti Gemelli, meno interessate dallo sprofondamento dell’avanfossa, a cominciare dalle Marne a Pteropodi, di età miocenica, così chiamate per la presenza di resti fossili di Molluschi Pteropodi, che conducono vita planctonica, cui seguono più in basso le cosiddette Marne con cerrogna, del Miocene medio, molto diffuse anche verso il Gran Sasso, caratterizzate dalla presenza di fossili di Molluschi bivalvi legati ai fondali. Nella Formazione della Laga, al contrario, la presenza sia di macrofossili che di microfossili è molto scarsa, probabilmente a causa dell’ambiente instabile di avanfossa, soggetto a frequenti flussi gravitativi di sedimenti che sconvolgevano l’ecosistema dei fondali, peraltro piuttosto profondi ed inadatti alla presenza di organismi fotosintetici. Condizioni che si potrebbero paragonare a quelle dei fondali marini prospicienti le foci delle odierne fiumare calabresi, popolati da comunità viventi estremamente povere. I livelli sedimentari della Formazione della Laga mostrano comunque la presenza di icnofossili, cioè tracce fossili dello scavo e della locomozione di invertebrati marini che vivevano nei substrati sedimentari incoerenti, lasciando orme, solchi, piste e buchi. Le rocce rivelano inoltre molte tracce ed impronte lasciate sui substrati dai movimenti turbolenti dei flussi di sedimenti, che creavano solchi di erosione, laminazioni e ondulazioni, ancora oggi ben riconoscibili. Il costante apporto di apporti sedimentari provenienti sia dalle vicine aree interessate dall’orogenesi, sia da zone molto più lontane, condusse nel giro di circa due milioni di anni al completo riempimento dell’avanfossa, nella quale si sono accumulati strati di sedimenti terrigeni che raggiunsero uno spessore di circa 3000 m. Nel corso del Pliocene, tra 5,33 e 2,58 milioni di anni fa il bacino di avanfossa che si era colmato di depositi sedimentari venne raggiunto dalle spinte compressive provenienti da occidente ed iniziò a sollevarsi, emergendo e corrugandosi gradualmente, fino ad assumere la disposizione della catena montuosa oggi osservabile. Verso la conclusione del Pliocene e poi durante il Pleistocene, con il procedere dei movimenti tettonici compressivi ancora verso oriente, presero avvio nella porzione occidentale della catena della Laga dei movimenti distensivi provocati dall’azione di faglie dirette, che condussero allo sprofondamento di alcuni settori della catena, con la formazione di depressioni tettoniche quali la conca di Campotosto, che come abbiamo visto fu sede di un lago e la conca di Amatrice. La catena dei Monti della Laga assunse quindi una fisionomia abbastanza simile a quella attuale, sebbene i periodi glaciali pleistocenici sicuramente hanno inciso profondamente sulla morfologia dei rilievi tuttavia i processi erosivi che sono seguiti hanno smantellato quasi completamente le tracce lasciate dal glacialismo. Oggi i Monti della Laga presentano significative differenze morfologiche tra il versante occidentale laziale e quello orientale abruzzese. Mentre quest’ultimo presenta pendii piuttosto dolci e boscosi, con valli abbastanza aperte, il versante laziale si distingue per i fianchi acclivi, piuttosto brulli e le valli strette e profonde. Questa difformità dipende dalla presenza di una grande faglia distensiva che corre lungo il versante occidentale ed ha determinato la creazione della conca di Amatrice. Inoltre Il regime delle precipitazioni piovose, abbastanza diverso tra i due versanti, potrebbe aver favorito, insieme al disboscamento, l’accentuarsi dei fenomeni erosivi lungo il versante occidentale, con lo sviluppo di forre e cascate e l’emersione locale delle rocce marnose calcaree più resistenti.
Nicola Olivieri